“Non è ciò che non sai che ti mette nei guai, ma ciò che dai per certo e che, invece, non lo è“.**
Mark Twain.
The Big Short è un film, del 2015, basato sugli eventi che hanno portato alla crisi finanziaria dei mutui subprime negli anni 2007-2008.
In una scena del film, uno dei protagonisti, durante un incontro con altri operatori finanziari, anticipa l’imminente crollo dei titoli attraverso un modellino di torre eretta con tanti mattoncini di legno impilati. Alla bese della torre, su ogni mattoncino c’è scritta una grande B, sono i titoli definiti “spazzatura”, poi,, salendo, si legge BB, i titoli meno affidabili, poi BBB, quindi A, AA, AAA, ovvero i titoli più affidabili e sicuri.
Il modellino di torre altro non è che la rappresentazione visiva di un prodotto finanziario che mette insieme titoli di diversa affidabilità, per essere venduto come tale sui mercati.
Estraendo dal modellino i titoli non più rimborsabili, cioè le B che stanno alla sua base, il trader dimostra come la torre, ovvero il prodotto finanziario che colleziona tutti i differenti titoli, alla fine collassa.
Ora, torniamo alla citazione che apre il film: “It ain’t what you don’t know that gets you into trouble. It’s what you know for sure that just ain’t so” e partiamo da essa per rubare la metafora della torre, sostituendo i mattonini di legno da prodotti finanziari a prodotti culturali, cioè credenze, idee, opinioni.
Tale prodotto culturale mette dunque insieme varie “tranche”, ovvero frasi semplici o complesse, impilate una sull’altra. Alla base della torre ci sono credenze, interpretazioni di fatti, opinioni etc, verosimili ma imprecisi, poco verificati, cioè, per tornare al linguaggio finanziario, con un rating molto basso, spazzatura. Salendo verso la cima, che nel nostro caso appare sempre più come una piramide, ci sono opinioni e credenze siglate con la tripla A, ovvero quelle il cui rating di affidabilità è garantito da opinioni leader, conduttori tv, opinionisti, che, esattamente come le agenzie di rating dei prodotti finanziari, che qui si chiamano talk show, editori, associazionie isrtituzioni varie, garantiscono appunto che il prodotto culturale offerto, impacchettato anche con le tranche spazzatura, ovvero affermazioni, fatti, opinioni e credenze del tutto fasulle, sia un affidabile AAA.
Il risultato è il medesimo di The Big Short: i prodotti culturali vengono offerti sulle piazze e acquistati da un pubblico, il più eterogeneo, che punta su di essi, senza ulteriori approfondimenti, certo che offrano una verità inoppugnabile, certezza che si traduce anche nelle opinioni di tipo B, qualla che possiamo definire come spazzatura ideologica.
La differenza, ed è una differenza notevole, sta nel fatto che, mentre nella finanza, come si è visto, prima o poi la torre crolla, nella cosiddetta industria culturale la speculazione può continuare all’infinito: un titolo/prodotto culturale non fallisce mai, semplicemente viene sostituito con un altro titolo, che richiama subito a nuovi investimenti emotivi, certi che sia una verità che dà significato alla propria vita e solleva della propria marginalità.
Quello che crolla, in quanto caso, non è un mercato finanziario, ovvero i soldi, che fungono da mondo parallelo, ma la comunità e le società, che si svalutano progressivamente, da cittadini a cittadini consumatori fino a sudditi, sotto il peso di titoli culturali spazzatura, venduti come AAA con la complicità di chi dovrebbe invece vigilare, che alla fine avvelenano le coscienze e i cervelli.
Ecco, sia nel settore finanziario che in quello culturale, la nota dolente sta proprio nella complicità di chi dovrebbe valutare i prodotti e vigilare, cioè in chi, contando sulla rendita di posizione di una rispettabilità che mantiene sul mercato, si presta, svendendo la propria rispettabilità, per incompetenza o opportunismo, ad avallare qualcosa come qualcos’altr, cioè a “far passare” per AAA prodotti che, in realtà, sono B.
La domanda, invece, è: può essere corretta questa analogia, proposta da Chi qui scrive, tra prodotti finaziari e prodotti culturali, traendo spunto da un film sul crollo finaziario del 2008?
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*Il titolo dell’articolo gioca ovviamente sul titolo del film, La grande Scommessa, e sul doppio significato di “commessa”, ovvero “commissione, ordine di prodotti di vario titolo” e “addetta alla vendita in un negozio o grande magazzino”.
**”It ain’t what you don’t know that gets you into trouble. It’s what you know for sure that just ain’t so“. Attribuita a Mark Twain (1835-1910).