Sì, viaggiare.

Sì, viaggiare, appunto, come cantava Lucio Battisti.
Ovvero, prendere un aereo, cioè infilarti in un recinto labirintico, girando in esso senza più la possibilità di poterti fermare o invertire la rotta, proprio come nei macelli, ridotto a gregge o mandria, con i cani pastore che ti guidano e ti spingono a proseguire il percorso e quelli poliziotto che sorvegliano che non vi siano lupi nel gregge, digrignando armi e giubbotti antiproiettile.
Prese, così per sport, la tua dosi di radiazioni, ti infili quindi in un tubo angusto dotato di ali, dove immancabilmente si siede accanto a te qualcuno che scopri sgradevole, ovviamente ricambiato con lo stesso sentimento, così ti stringi, ma lui, sempre immancabilmente, occupa subito il vuoto che speravi si frapponesse tra voi, invadendolo con i gomiti fin nel tuo costato.
Perfino la figura mitologica del pilota si riduce ora a un forzato rinchiuso in uno sgabuzzino sempre più piccolo, sbirci e lo vedi seduto con le ginocchia che gli arrivano fin quasi all’altezza del volto, costretto da lì a lanciare messaggi pubblicitari via autoparlante, mentre trasporta turisti da una parte all’altra del mondo.
Arrivi in hotel, le stanze oramai tutte uguali, tutto appare pulitissimo, soffitto con cartongesso e faretti, le finestre chiuse a chiave perché il clienti non si butti giù in un momento di sconforto, l’aria che entra da un condotto di cui vedi solo la grata e ti chiedi quali forme di vita aerobiche si siano sviluppate già a mezzo metro da quella bocca e quale aria ne esca. Poi c’è il bagno, ovviamente cieco, senza finestra, anch’esso pulito all’apparenza, un concentrato di materiale fecale sospeso in aerosol disperso in aria dai lavori di pulizia e che già si sta ridepositando giusto sul tuo spazzolino da denti e più in generale nella stanza ed è solo grazie a qualche centinaio di migliaia di anni di evoluzione ed ecatombi varie che il tuo sistema immunitario riesce a non farti schiattare di lì a poco, sempre che qualche microbo nuovo non si sia infilato a rovinara la festa.
Nella città i centri storici sono ormaia tutti uguali, ovvero più centri commerciali che storici, i negozi condotti da persone dalla pelle olivastra, pronti a venderti le stesse cianfrusaglie made in China che da una città all’altra esse cambianoper colore e forma, ma provengono tutte dagli stesse fabbriche di produzione là dove il lavoro costa meno.
Ti illudi di scoprire qualcosa di nuovo, certo, e ti fotogrsfi in esso, ma la realtà è che sempre tutto peggio della brochure che sfogli nelle agenzie turistiche, nelle riviste o guide turistiche e questo peggio è l’unico elemento che può farti deviare da un viaggio in cui tutto è già scontato fin dall’inizio. In altre parole, la delusione è la sola realtà di una illusione che tende a riprodursi fino alla noia.
Ti chiedi cosa ci sia di diverso dal luogo in cui vivi. E l’unica risposta concreta è che ti costa tutto di più e che proprio il pagare molti soldi è l’unico elemento reale di tutto quello che stai vivendo.
Molto meglio le canzoni di Luvcio Battisti.