“L’opposizione è più estremista di Hamas”.
“L’estrema destra al governo, pericolo per la democrazia”.
Due dicharazioni che Chi qui scrive tenderebbe, con rispetto scrivendo, a definire irrilevanti. Allo stesso tempo, egli ritiene piuttosto interessante un altro aspetto: ovvero che la maggior parte di noi sa, con elevata certezza, che tali affermazioni non vanno prese seriamente. Ovvero che, nonostante la gravità delle frasi e l’aturevolezza istituzionale di chi le ha pronunciate, e che, non dobbiamo imbracciare le armi per difendere la democrazia, o arrestare le opposizioni parlamentari per scongiurare loro atti di terrorismo.
Ecco, Chi qui scrive ritiene che questo sia l’elemento rilevante da sottolineare: per motivi forse sottovalutati, noi sappiamo che le due affermazioni fanno parte di un copione elettorale, copione che a sua volta è parte, a volte eccessivamente, della cosiddetta dialettica parlamentare, ovvero di quel parlare e confronto democratico che ci distingue da una dittatura.
Distinguere, appunto, tra una frase “descrittiva”, e quindi anche una sciocchezza, da una frase “prescrittiva”, quella a cui deve seguire una reazione più o meno immediata, sembra far dunque parte del corredo civile di un cittadino che nasce e cresce in una cosiddetta democrazia parlamentare.
Parlamento deriva da parlare, discutere. A inizio novecento, si usava l’espressione “fare parlamento” per il nostro “discutere e scambiarsi opinioni”. Potremmo allora dedurre che, nel fare parlamento, questa nostra acquisita sensibilità a contestualizzare le espressioni verbali, ovvero intuire se le dichiarazioni di un politico sono battute elettorali o allarmi seri, è alla base di una convivenza democratica ed è ciò che preserva l’autorevolezza istituzionale di un politico restare quando riconosciamo che parla nella sua veste istituzionale.
Il proverbiale “Al lupo al lupo”, in questo caso, e per nostra e della democrazia fortuna, non sembra funzionare.
Se così fosse, e tanto più in una cosiddetta “democrazia recitativa”, questa nostra sensibilità a distinguere affermazioni e contesti potrebbe essere quasi altrettanto fondamentale per la democrazia di quanto lo sia un Parlamento.
Tuttavia, questa sensibilità, ecco il punto, non sarebbe affatto scontata né innata. Essa nascerebbe dalla consuetudine prolungata nel tempo e nelle generazioni di vivere in una democrazia e familiarizzare con i suoi umori e le sue bizzarrie. In una democrazia, la corruzione, intesa come corruzione degli estremi e degli estremismi, compreso l’interpretazione letterale (letterale) del linguaggio, appare una condizione indispensabile, conditio sine qua non, per vivere in una democrazia, separando la crusca (le bizzarrie elettorali) dalla farina (le dichiarazioni parlamentari).
Ora, proprio per separare la crusca dalla farina nacque l’Accademia della Crusca, che non a caso prese il suo nome dalla parte più deteriore, la crusca, senza poter intuire che proprio la crusca sarebbe stata rivalutata nelle farine integrali, cioè non eccessivamente raffinate, per il benessere della nostra salute.
Allo stesso modo, la crusca parlamentare della democrazia recitativa potrebbe essere anch’essa importante per la nostra salute democratica, elevando la nostra soglia di tolleranza e di frustrazione e favorendo quelle funzioni espulsive di ogni estremismo ideologico, altresì definito fanatismo. Fanatismo che spesso nasce o dall’intrepretare alla lettera una frase verbale, o dal trovare in essa più di quel che significa, come insegnò Umberto Eco.
A questo punto, tre questioni.
Quanto fin qui scritto ha una sua realtà?
Se ce l’ha, tutto ciò che favorisce questa nostra capacità di interpretare il linguaggio, e quindi il linguaggio parlamentare, non dovrebbe essere incoraggiato attraverso la scuola , i libri, il giornalismo, l’informazione in genere?
L’erosione di questa sensibilità a interpretare il linguaggio, sottoposta a un continuo stress ossidativo nel tempo, scriviamo così, può essere un pericolo reale?