Chi qui scrive si è, sì, commosso dentro un Museo, nel rivedere la bellezza che null’altro chiede dell’arte minoica: reperti da palazzi e grotte, gioielli, vasellame, sculture, le spirali e i colori. “Perché non ci sono scene di guerra nell’arte minoica?” si chiese Charles Gates e si rispose che, considerando l’improbabilità di secoli senza guerra, i minoici probabilmente non vollero considerare la guerra un soggetto interessante da rappresentare nella loro arte. Il che già è molto. Tanto che lì, davanti a quei reperti, a chi qui scrive è stata rivolta l’unica intelligente da sollevare: “Ma cosa è successo poi, per finire come siamo?“.
Già, cosa è successo?
Risalendo un sentiero di montagna, per raggiungere un sito archeologico, chi qui scrive ha incontrato degli uomini un total look nero, impolverato e incrostato di sale e sudore prosciugato dall’arsura. Stavano lavorando in un cantiere, per allestire uno spettacolo notturno. Un po’ in greco, reminiscenza del liceo, e il resto in inglese, tradotto da una ragazza che li accompagnava:
– Italiano?
– Sì.
– Μαφία? Mafia? mafioso?
– No…
– Peccato, noi amiamo “τη μαφία”, la mafia.
Ecco. La percezione, visto che di percezioni oggi si vive, è che ovunque istituzioni quali Unesco e Unione Europea allungano, come si dice, i loro tentacoli, tutto ciò che toccano venga inerosabilmente mercificato: luoghi, comunità, abitanti perdono la loro innocenza e, in cambio, ricevono un ruolo da figuranti tra souvenir finti, messi in mostra in finti locali tradizionali, trasformati in “product placement”.
Ritornare, dopo decenni, nei medesimi luoghi e osservare l’evoluzione di un turismo che a poco a poco si sostituisce al paese reale è spaesante. Chiunque abbia avuto la fortuna anagrafica di viaggiare vari decenni fa, forse farebbe oramai meglio a starsene a casa.
Torna in mente la tenace resistenza che i cretesi opposero alle truppe d’élite tedesche; poi l’austerity che la Commissione europea impose ai greci e i turisti, quelli intelligenti™, che nei social scrivevano entusiasti di come, grazie ad essa, i greci fossero divenuti “più servizievoli”.
Oggi spuntano un po’ ovunque villette a schiera che sembrano di cartone, e forse lo sono, e, sì, si comprende che tutto questo ha una ragione, ovvio, e che oggi nessuno può fermare questa evoluzione che estirpa come erbacce qualsiasi identità nativa, ciononostante chi qui scrive resta solidamente certo che tutto questo sia profondamente ingiusto e triste.
Trasformare in servizi a pagamento tutto ciò che è disponibile secondo natura appare inquietante, perché si finisce per confondere il servizio con la realtà stessa.
E tutto questo è ancor più straniante viverlo in luoghi dove, ironia, nacque il concetto filosofico del limite, περας, il limite che salva dalla hybris, la tracotanza umana.
Chi qui scrive s’illude di comprendere come e perché la cosiddetta Unione Europea sia costretta a declassare con astio la cosiddetta cultura greco-latina, cioè perchè il padre dell’Europa debba essere un Carlo Magno, cioè perché l’Unione europea, per esistere, debba necessariamente sovrascrivere le radici greco-romane, cristianesimo compreso.
Come potrebbe il manager che, dai cosiddetti Paesi più avanzati, va a stendersi sulle spiagge del sud Europa, servito da camerieri che sorridono un “Kalimera” ma poi parlano inglese, accettare che siano stati proprio gli antenati di quei servizievoli camerieri, così inclini al destino, a gettare le basi culturali e storiche dell’Europa e dell’Occidente?
Come può accettare, il funzionario dell’Unione Europea, colui che quel sud è chiamato a educare, riordinare e mettere a reddito con la giusta severità imposta dal ruolo, come può proprio lui riconoscere che quel sud è in realtà la madre della nostra civiltà? Non può e tale impossibilità va capita va accettata, perché proprio su di essa si reggw quell’unione europea che rincorriamo e che, per essere, deve ripudiare il Mediterraneo.
L’alternativa è restare a casa.
Sì, questo non è un granché come resoconto di un viaggio.
Anche perché, con indubbio e insopportabile snobismo, chi qui scrive non “posta” la foto di calette con l’acqua turchese, di taverne di sera, di tramonti sul mare, e non pubblica nemmeno la famosa ape, gioiello d’incredibile manifattura orafa, tanto perfetta da sembrare aliena. Come ricordo, si ritiene più rappresentativa la foto di una scheggia di pietra, 2500 avanti Cristo circa, che, con 5 segni, divenne la testa di un animale.
Chiunque, oggi, potrebbe creare un oggetto così; ma, se lo può fare, è grazie a qualcun altro che, 5000 anni fa, su un scheggia di pietra vide la testa di un animale e con pochi segni la fece emergere.
Il reperto si trova nel Museo Archeologico di Heraklion, forse oggi l’unico luogo rimasto reale di tutta l’isola di Creta e che, da solo, vale un viaggio.