Cronache (f)estive

Di Paolo Ceccato

Foto dell’autore. OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Ho visitato un luogo kitsch contemporaneo. Un santuario di quella realtà ristrutturata e corretta che, dietro oneroso pagamento, viene offerta a chi ne desidera godere in esclusiva la perfezione, nel suo sottovuoto a lunga conservazione. Nomi e località non sono importanti. Kitsch: “degradazione dell’opera d’arte nella moderna civiltà di massa”. O forse, oggi, contro la moderna civiltà di massa.

Trattasi di un borgo, comprato e rimesso a nuovo in modalità turismo, dove gli ospiti sono la presenza più interessante, sguardi passi e silenzi che scivolano via con grazia leggera e ti partecipano l’estasi di esserci. Un piccolo borgo che fu reale, dove oggi ogni centimetro è trasformato in finzione e la finzione, a sua volta, è trasformata in una realtà emotiva, quella che vibra nell’incanto di un tutto ideale e discreto, e che ci sussurra che, se così fosse ovunque, sarebbe il Paradiso terrestre. A pagamento. Versione a(g)giornata
delle indulgenze.

Il punto è che l’originale ridotto a finzione è molto più insidioso della finzione spacciata per originale. Nel primo caso, infatti, l’originale e la sua storia vengono demoliti, per far posto a un set “cinema(tico)grafico”; nel secondo caso, l’imitazione non consuma la realtà dell’originale, ma “ne fa le veci”, assumendo su di sé le bramosie di sfruttamento.

E la Venezia riprodotta in un centro commerciale in Cina è, e senza dubbio, molto più interessante e utile di Venezia trasformata in attrazione turistica. Perché in essa, nella Venezia di cartongesso cinese, c’è indubbiamente un elemento originale, ovvero la copia che, in quanto falso d’autore, rivendica una propria dignità.

La ristrutturazione dei luoghi storici, invece, non solo profana il
trascorrere del tempo, ma impedisce una relazione fisica con la storia.
Consumiamo a piacimento la finzione, dunque, come se fosse l’originale per salvare l’originale dalla finzione. Visitiamo Venezia in Cina; andiamo a sciare nei comprensori artificiali in Medio Oriente, così come si va tranquillamente a nuotare in piscina invece che nel mare.

La bellezza, oggi, deve essere trovata in quei luoghi paradisi artificiali.
Valorizziamo “la realtà esperienziale”, come si dice, della copia, esaltiamo l’ideale del surrogato concerto di emozioni che sa dialogare al meglio con la nostra sensibilità.
In fondo, nelle piazze delle città, già non ammiriamo copie di statue, il cui originale è tutelato nei musei? Non mangiamo cibi industriali che con la cucina locale non hanno più nulla da condividere? Non visitiamo già villaggi turistici che più nulla condividono con la realtà locale intorno? Ecco, acceleriamo tutto
questo, perché potrebbe essere il solo modo di salvare la memoria e la storia e, con esse, la nostra anima.

Venezia torni a essere un luogo in cui dire: bella sì, ma davvero c’è chi ci abitava? L’antico borgo resti un luogo da vistare e sbigottirsi: guarda quanto abbandono, zanzare e sporcizia, ti rendi conto ila miseria di quei tempi? Via via, non restiamoci un minuto di più.
Lasciamoli così, i luoghi, nella loro bruttezza e rovina; il brutto, oggi, è la sola e unica difesa dallo sfruttamento di una società che esalta la bellezza quale eterno presente ri-aggiornabile, con sempre nuovi programmi e servizi.

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