La colonia infame*.

“Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza”.
Giacomo Matteotti, Camera dei Deputati, 30 maggio 1924.

Sono le ultime parole dell’ultimo discorso pronunciato in Parlamento da Giacomo Matteotti. Di esse colpiscono le circostanze, drammatiche, per quel che di lì a poco (10 giugno) sarebbe accaduto, il sequestro e assassinio di Matteotti da parte di sicari fascisti; ma colpisce anche il senso stesso di quelle ultime parole, con cui Matteotti accusò il governo di Mussolini di ritenere gli italiani incapaci di “reggersi da sé”, ovvero di non meritarsi la libertà**.
Non fu e non è il solo. L’inettitudine dell’italiano (in tal veste spesso etichettato come italiano medio, qualunque cosa questo significhi), è, in effetti, un pregiudizio che torna spesso, sottotraccia, in molti dibattiti e testi e in modi diversi.

L’aspetto triste di tale pregiudizio sta nel fatto che, generalmente, esso è caratteristico dei paesi colonizzati, cioè là dove il colonialismo vuole e deve giustificare la propria presenza, motivandola come un’azione di aiuto a popoli, appunto, incapaci di aiutarsi da sé. Civilizzazione, si chiamò nella prima ondata; aiuti umanitari e/o esportazione di democrazia nella seconda, il neo-colonialismo.
È una narrazione tipica e dai principi molto complessi e ben studiati dagli storici, che, sempre purtroppo, se non nella forma, certamente nella sostanza, legittima ancora oggi tutele economiche nei Paesi dei cosiddetti terzo e quarto mondo.

L’Italia, si sa, è stata per secoli un paese oppresso e, come sempre accade, l’oppressione tipica del colonialismo permane anche quando non è più fisicamente esercitata, permane nell’anima e nel senso di sé. Permane, ad esempio, in quelle élite locali emerse in seno ai poteri coloniali e da questi privilegiate, a patto che esse abbraccino pensieri, valori e gusti dei colonizzatori e, soprattutto, dimostrino di prendere le distanze dai propri concittadini, maltrattandoli.
L’aspetto più crudele del colonialismo, forse più della violenza fisica che esercita, sta proprio qui, in quell’insorgente xenofilia che drammaticamente si colora di auto-razzismo, un pregiudizio che sfalda i legami comunitari e sociali e che richiede moltissimo tempo per attenuarsi. Se si attenua. Perché questi riflessi postcoloniali spesso permangono striscianti, pronti a riemergere, se utili, per condizionare profondamente le relazioni sociali e politiche, sia interne, che internazionali, indebolendo l’emancipazione.
163 anni dopo l’Unità di Italia, un tempo brevissimo, l’incapacità culturale, morale e sociale degli italiani a “reggersi da sé” è un pregiudizio che ancora riemerge e che, a dar senso a molti discorsi, condiziona sentimenti, scelte politiche e relazioni sociali. Per questo pregiudizio, il popolo italiano dovrebbe ancora “essere governato con la forza”, per il suo bene. Principio di facile fortuna, perché in molti sono sempre lieti di arruolarsi in qualità di forza educativa, se serve anche oppressiva e soppressiva delle nostre cattive inclinazioni. Il mito della rifondazione dell’essere umano (homo novus) è, purtroppo, un fiume carsico che dai tempi più antichi emerge e si inabissa lungo tutta la nostra storia.
Peculiare, in tutto questo, è che noi italiani stessi siamo i primi a censire i nostri difetti, con ineguagliabile sarcasmo e insuperabile maestria, consapevoli, o forse no, che quei difetti sono i residui di una lunga pratica di sopravvivenza a poteri stranieri ed estranei. E consapevoli, o forse no, che ai nostri difetti fanno da contraltare virtù non comuni, tra cui l’intelligenza e una congenita diffidenza, appunto ben sperimentata lungo i secoli, per ogni forma di potere.
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*Libera interpretazione da: “(…) decretaron di più, che in quello spazio s’innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame”.
Alessandro Manzoni, Storia della colonna infame, 1840.

**Un’affermazione analoga fu pronunciata da Giovanni Giolitti, il 15 novembre 1924, durante la dichiarazione di voto che sancì la sua opposizione al governo Mussolini: “… come se fosse un popolo (quello italiano) che non merita quella libertà che ha sempre avuto in passato”.

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