Confessione di un aspirante povero

Di Paolo Ceccato

“Nessuno può osservare la vita umana con maggior saggezza e imparzialità di quella posizione vantaggiosa offerta da una povertà che noi definiremmo scelta volontariamente”.
David Thoreau, Walden o la vita nei boschi, 1854.

Immagine dal web.

Le confessioni, salvo quelle dei Santi (e dei peccatori), sono sgradevoli. E, infatti, questa, più che una confessione, è una constatazione, ovvero: da un po’ di tempo, con insistenza, rileggo Sul dovere della disobbedienza civile di Henry David Thoreau. Il suo, breve, saggio è diventato, per me, una sorta di breviario serale; sfoglio e rileggo, qua e là; e ogni volta che ci torno, colgo nuovi significati, frasi e parole nuove.
Sospetto che la ragione di tutto questo sia (anche) lo stile di scrittura di Thoreau: concreto e pratico. Durante la lettura di un’altra sua opera, Walden o della vita nei boschi, da cui la citazione sopra, fui colpito dalle pagine in cui lo scrittore americano non si limitò a scrivere che costruì una baracca nel bosco per andarci a vivere, ma elencò minuziosamente tutti dettagli quali rifornimenti, prezzi, trucchi, consigli di carpenteria etc, non limitandosi alla narrativa,
dunque, ma fornendo le istruzioni pratiche per realizzare ciò di cui scriveva.

Ecco, e se fosse proprio questo ciò di cui oggi abbiamo bisogno? Ovvero: istruzioni concrete su come costruirci una via di fuga?
Le analisi, anche le più intelligenti, non bastano più. Si deve andare oltre, metterci il proprio corpo, far di esso un corpo estraneo che rallenta il meccanismo che ci opprime. Abbiamo sperperato gran parte della nostra generazione e il presente, sociale e politico, lo dimostra; da qui, nasce la tentazione di un riscatto almeno individuale, con conseguente presa di distanza da ciò che ci circonda.

E qui si torna alla citazione, di una “povertà che noi definiremmo scelta volontariamente”. Ovvero di una povertà che non è più in relazione con ciò che si possiede o non si possiede, ma che diviene la scelta concreta di opporsi, opponibile come il pollice che afferra qualcos’altro, andando in direzione contraria a quello a cui siamo chiamati in qualità di cittadini consumatori.
Il sistema in cui oggi viviamo è sul denaro che si regge, cioè sui nostri consumi; esso non teme affatto le opinioni e nemmeno le idee anxche le più rivoluzionarie, se le può vendere; teme invece la povertà come scelta volontaria.
Ecco, quando leggo le parole di Thoreau: “mi preoccupo di seguire gli effetti della mia obbedienza”, “traguardo” non solo la mia vita, ma anche ciò che mi circonda, perché ciò che mi circonda oggi altro non è che l’effetto della vita che ho vissuto fin qui e, quindi, della mia obbedienza.
E quando leggo: “se un uomo è libero nel pensiero, libero nella fantasia, libero nell’immaginazione…” e penso allo stato in cui versa l’informazione, ai cosiddetti social, alle parole vuote che ci circondano, penso che sì, non ha più molto senso insistere a “demistificare”; al contrario, ha senso disporre nel miglior modo possibile del tempo e dello spazio che ci rimangono, vivendo una vita quanto più possibile libera dalle influenze di “ciò che” e “di chi” ci circonda.
Ecco, questo è ciò che vorrei diventasse questo sito: un manuale dove attrezzarsi per liberarsi di quanto fin qui è stato e per impiegare diversamente il tempo che ci rimane; una guida per “vivere una vita interiore, contare su noi stessi”, “rimboccarci le maniche ed essere sempre pronti a ricominciare, senza occuparci di molte faccende”…

P.S. “Se, nell’epoca liberale, il povero era accusato di pigrizia, oggi, invece, è automaticamente sospetto”, così scrivevano Adorno e Horkheimer, con arguta profezia. E perché il povero è sospetto? Perché il sistema è una totalità che pensa a soddisfare ogni esigenza e necessità, senza dimenticarsi di nessuno, e dunque, se uno è povero, lo è perché rifiuta il sistema che garantisce il benessere
a tutti coloro che vi subordinano.

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