Su i muri spes(s)i 5 euro

Di Paolo Ceccato

Nell’immagine tratta da Wikipedia, particolare delle mura di Cittadella (PD).

L’antica Sparta, si sa, non aveva mura a protezione della città.
Il motivo era semplice: nessun sano di mente avrebbe mai pensato di conquistarla. Ma fu un caso isolato. Città e presidi, chi più chi meno, sempre eressero difese murate sempre più alte e sempre più spesse, a volte, mostruosamente alte e spesse. Il motivo era altrettanto semplice: impedire a predoni, mercenari ed eserciti di
entrare a piacimento in città e saccheggiarla.

Tale fu, che le mura determinavano anche un confine, nettissimo, tra la città e la campagna, cioè tra i ricchi e i poveri, tra i nobili e la plebe.
Poi i tempi cambiano e da qualche secolo, circa, le città sono, al contrario, aperte a tutti. Chiunque vi può accedere e visitarle per i motivi più vari: lavoro, soggiorno, visita alle bellezze artistiche e storiche etc.
Poi i tempi cambiamo ancora e, a quanto pare, ora le città, almeno quelle italiane, tornano a circondarsi di nuove mura, molto, molto più tecnologiche di quelle antiche, ma non meno insidiose: le prenotazioni online e i ticket d’ingresso, per frenare i turisti cosiddetti giornalieri. Venezia docet.

La qual cosa si fa interessante, non c’è dubbio.
Cosa significa, infatti, pagare per entrare in un luogo pubblico? Beh,
innanzitutto significa che quel luogo non è più pubblico, ma a pagamento, cioè è accessibile solo a un pubblico pagante. Pagare qualcosa significa comprarlo e, ovvio, si compra solo ciò che non ci appartiene.

Sì, certo, io pago anche l’acqua che mi sgorga dal rubinetto, ma non pago l’acqua che bevo in un torrente o in una sorgente. Cioè pago un servizio, ma non la materia prima. La risorsa acqua è di tutti, nessuno ne è il proprietario. Ora, le città esistono perché qualcuno le ha erette, dunque esse appartengono a una popolazione o, meglio, a una cittadinanza, rappresentata da uno Stato nazione. Questa cittadinanza e questa nazione curano le città e il loro mantenimento, lasciandole accessibili a viandanti e visitatori.
E, infatti, non è affatto casuale se le città diventano “a pagamento” proprio quando “si abbattono” i confini tra gli Stati. Le città, smarrita la loro identità storica, si trasformano volentieri in merci, luoghi di spettacolo e, come tutte le merci, acquisiscono un valore, cioè un costo, determinato dalle leggi di mercato.

Niente di che. Questo passaggio, da luoghi di tutti a merci, è esattamente l’obiettivo della globalizzazione, e lo è fin dall’inizio: tutto ciò che apparteneva a una cittadinanza ora diventa mercificabile, cioè in vendita, cioè di tutti ma in quanto cittadini consumatori. Così è già per gli ambienti naturali: i prati, le montagne, i sentieri, le spiagge, i laghi etc. diventano sempre più fruibili a pagamento, cioè merci.

Niente di che nemmeno qui: il passaggio da ambiente di
tutti a prodotto da vendere è esattamente l’obiettivo che dà vita a organi sovranazionali come Unesco: un’azione di esproprio dei luoghi storici e naturali.

E così, ritornano, in modalità differenti e molto più raffinate, i muri e, con essi, i ponti, i ponti levatoi. I ponti, appunto, i tanto acclamati ponti, ma quelli che si abbassano per il transito solo a pagamento. Con buona pace per il nostro Giambattista Vico, con i suoi corsi e ricorsi storici, mai sufficientemente celebrato come meriterebbe.

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